mercoledì 4 luglio 2012

I 7 peccati dei relatori pubblici. Primo: promettere e non mantenere

Il portale della Federazione Relazioni Pubbliche (Ferpi) riporta in questi giorni un articolo del PR Daily scritto da Dorothy Crenshaw, secondo PR Week una delle 100 donne più influenti nel settore delle Relazioni Pubbliche.

Crenshaw elenca quelli che a suo parere sono i 7 peccati mortali del relatore pubblico, in grado, se commessi, di macchiarne la reputazione facendolo bollare come un dilettante.

Ho deciso di approfondirli uno per uno, con 7 post di seguito, per vedere se veramente si tratta di errori così terribili, quali le motivazioni, le eventuali scusanti e le contromisure per evitarli. Il testo di ogni “peccato” è stato tratto dal sito Ferpi.

Peccato no. 1:
Promettere quello che non si è certi di poter mantenere.

"Si tratta di un osso duro, perché i risultati in termini di notorietà non possono essere previsti in modo totalmente preciso. Al culmine della “battaglia”, è facile per un team di agenzia “esagerare” il potenziale ritorno sugli investimenti. A volte queste semplici aspettative sono ingigantite da lunghe trattative. Nel peggiore dei casi, si tratta di una totale incapacità di deludere le aspettative del cliente. Di solito, vi aspetta l’inferno".

Una delle difficoltà maggiori per chi si occupa di relazioni pubbliche è quella di effettuare una valutazione del proprio operato in maniera tale da giustificare al cliente o datore di lavoro (a seconda che il professionista operi autonomamente o in azienda) il ritorno dell’investimento. Quello del ROI delle relazioni pubbliche è uno degli argomenti più dibattuti degli ultimi anni. Dalla capacità di dimostrare il valore - anche e soprattutto in termini economici – del lavoro di relazioni pubbliche dipendono molte cose: la possibilità per il professionista di mantenere il cliente, il prestigio del relatore pubblico in senso individuale e come categoria, la reputazione delle relazioni pubbliche come asset strategico per il raggiungimento degli obiettivi aziendali, il budget, il numero dei collaboratori e altri vantaggi di cui il comunicatore in-house potrà disporre in futuro.

Per non commettere questo “peccato” è essenziale rapportarsi con il cliente/datore di lavoro con la massima trasparenza, chiarendo il più possibile (mettendolo anche per scritto) quelli che sono gli obiettivi di una campagna di relazioni pubbliche in generale e quello che ci si può aspettare o non aspettare da uno specifico intervento.

Attualmente le competenze relative ai metodi e modi di valutazione delle azioni di relazioni pubbliche sono tra le meno approfondite tra quelle in possesso degli operatori. Probabilmente anche tra le più trascurate a livello di formazione. Confrontiamo per esempio la proliferazione di corsi su come fare le rp con i social media con l’offerta formativa nel campo della valutazione per avere un’idea. Lavorare su questo punto sarebbe di sicuro aiuto per tanti relatori pubblici, esperti o meno.

Le aspettative elevate di molti imprenditori possono anche essere conseguenza di quella mancanza di cultura in comunicazione spesso sottolineata con rabbia e rammarico da chi fa questo lavoro e si confronta con limiti e ostacoli che prima che economici sono mentali.

Accrescere la cultura della comunicazione significa anche spendere ogni volta qualche parola in più con i clienti per effettuare un paziente lavoro di semina di idee e concetti consapevoli che solo con il tempo se ne raccoglieranno i frutti. Da evitare invece assolutamente il “peccato mortale” di esagerare di proposito i risultati per accaparrarsi il cliente, una tentazione che i più fragili e i meno onesti, in tempi di crisi e scarsità, potrebbero trovare irresistibile. Pena: non solo la perdita del cliente che, dopo una campagna sbagliata non vorrà più saperne di noi, ma l’inizio di un passaparola alquanto dannoso.

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